«Se da un lato le persone amate che ci hanno lasciato non si dimenticano mai,
la vita di chi resta può essere ricca, gratificante e felice».
(Helen Fitzgerald)
Suicidio viene dal latino suicidium (uccisione di se stessi), ed è l’atto col quale una persona si procura volontariamente la morte. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che circa un milione di persone muoiono ogni anno per suicidio. Questo numero, aumentato del 60% negli ultimi cinquant’anni, equivale, approssimativamente, a 3000 morti al giorno, dato che supera di gran lunga il numero di morti causato da omicidi o guerre. Questo numero tende ad assumere un aspetto significativo se ci si riferisce alla fascia dei giovani tra i 15 e i 25 anni dove , solo in Italia si registrano all’anno tra i 1000 e i 1500 tentativi di suicidio, e questo tipo di morte risulta essere la seconda causa di morte in questa fascia di età dopo gli incidenti stradali (dato Istat 2017). Altro dato che fa riflettere é che per ogni giovane che muore per suicidio si stima che ci siano almeno 100-200 ragazzi che tentano il suicidio ed altri che si espongono a diverse forme di comportamenti suicidari.
Quali sono i fattori di rischio del suicidio?
I fattori che contribuiscono al suicidio sono molti e complessi ma, nella maggior parte dei casi, il disagio psichico gioca un ruolo significativo. Una persona che si toglie la vita potrebbe non aver avuto una diagnosi psicopatologica ma con molte probabilità può aver sofferto di disturbi dell’umore nella sua vita . Sono molte le persone che si chiedono se il rischio suicidario sia genetico e se i figli sono eredi di questo rischio .
Non è mai stata dimostrata l’esistenza di geni specifici del suicidio ma, la ricerca dice che i bambini figli di persone con un disturbo dell’umore potrebbero essere predisposti allo stesso disturbo ed essere cosi’ più’ a rischio di suicidio rispetto ai bambini che non hanno avuto un genitore con questo problema.
I più’ comuni disturbi dell’umore sono la depressione e il disturbo bipolare entrambi sono trattabili e non rappresentano un rischio per la vita se riconosciuti e curati tempestivamente . È per questa ragione che diventa importante riconoscere i sintomi dei bambini e degli adolescenti che più sono collegati ad un possibile rischio suicidario.
Quali sono i principali segnali di allarme del comportamento suicidario?
I possibili segnali di allarme includono : il senso di impotenza, l’aumento dell’uso di alcol e droghe, cambiamenti repentini di umore, difficoltà legate al sonno, la mancanza di progetti e di interessi , la sensazione di essere senza via d’uscita, pensieri ricorrenti sulla morte o sul suicidio, coinvolgersi in attività rischiose.
Sopravvivere al suicidio di una persona cara
I familiari di coloro che sono morti per suicidio si chiedono il perché di questa terribile scelta e questo implica il protrarsi della ricerca di una ragione che la giustifichi. Le persone coinvolte in un evento così drammatico possono oscillare dall’attribuire la colpa a sé, a qualcuno di esterno o allo stesso defunto. Proprio perché si tratta di un’esperienza drammatica e poco comune, il poter trovare un motivo sembra essere l’unico modo per avere il controllo su un avvenimento così imprevedibile, che costringe all’impotenza. Avere la sensazione di non aver potuto far nulla è, inoltre, un ostacolo per l’elaborazione della perdita . La morte di una persona per suicidio è inaspettata, violenta e traumatica e lascia, nei sopravvissuti, l’illusione che qualcosa poteva esser fatto per evitare la perdita. Ripensare spesso a ciò che si sarebbe potuto fare di diverso, per salvare la persona amata dal suicidio, è un’esperienza comune a chi soffre questo tipo di perdita e costituisce, di per sé, un rischio di traumatizzazione, con la possibilità di sviluppare condotte fobiche o di ipercontrollo. La letteratura segnala che, dopo aver perso qualcuno a causa di un suicidio, le persone tendono a accusare un maggior senso di colpa e di vergogna. Queste emozioni rischiano di bloccare il normale processo di elaborazione del lutto. Prima che il suicidio possa essere paragonabile ad un lutto normale possono trascorrere diversi anni.
Se il sopravvissuto è un bambino
Quando muore un familiare di un bambino per suicidio (soprattutto se è un’importante figura di riferimento), la prima questione che si pone è la comunicazione della notizia e non si intende solo cosa dire e come dirlo ma, innanzitutto, chi dovrà farsi carico di quest’incombenza. Generalmente, si pensa che un bambino non sia ancora in grado di comprendere appieno il concetto della morte e del suicidio oppure si pensa che sia, per lui, un dolore troppo grande da sopportare, per questo si è automaticamente portati a cercare di proteggerlo. In realtà, i bambini sono in grado di comprendere benissimo il concetto della morte, se viene loro spiegato adeguatamente, in base all’età. Spesso alla base di molti disturbi cognitivi e affettivi ci sono segreti familiari che impediscono ai bambini di processare ed elaborare informazioni e questa difficoltà contribuisce in modo significativo ad avere difficoltà nella memoria di lavoro con una ricaduta sul funzionamento e sull’apprendimento. Tra questi disturbi, troviamo l’amnesia, la dissociazione, la derealizzazione, una sfiducia cronica nei confronti degli altri e l’inibizione della curiosità.
La relazione bambino-genitore si costruisce sulla fiducia, sulla sicurezza e sulla prevedibilità ed i non detti vanno nella direzione contraria.
E’ importante comunicare la notizia il più presto possibile. Se si attende troppo, si rischia che il bambino possa sapere della morte del genitore attraverso altri canali o altre persone non familiari, e che possa così sentirsi solo, con un carico di dolore così grande. Il suicidio e’ un evento estremamente traumatico e la maggior parte dei bambini e adolescenti che hanno perso un genitore per questo motivo hanno elaborato l’evento grazie ad interventi mirati per la rielaborazione del trauma e grazie anche al supporto ricevuto nei giorni e mesi successivi alla perdita. I sopravvissuti ad un suicidio , bambini e adulti, che siano hanno bisogno di un posto dove condividere il loro dolore, la colpa , la paura e la vergogna. E’ fondamentale sapere che il trauma conseguente ad un suicidio può comportare esiti psicopatologici a lungo termine.
Come parlare ai bambini del suicidio di una persona cara
Può essere di aiuto, anche per i bambini molto piccoli, pensare a una storia semplice, che possa essere raccontata anche più volte, per dare lentamente un senso a ciò che è accaduto. E’ importante usare parole che i piccoli possano comprendere ed è importante chiedere sempre loro ciò che pensano di quello che e’ stato detto, per assicurarsi che abbiano veramente capito.
Gli eventi che circondano un suicidio spesso creano molta confusione. I genitori potrebbero pensare di alterare il racconto, per renderlo più facile da spiegare, ma anche per la normale difficoltà di dover poi gestire le reazioni del bambino. E’ importante cercare di essere coerenti nelle spiegazioni, raccontando onestamente l’accaduto. È molto difficile nominare la parola “suicidio” e gli adulti possono prendere tempo, pensando che sarebbe più giusto dire al proprio figlio una “bugia bianca”, in attesa che cresca e che possa capire meglio. In realtà, il bambino soffrirebbe di più, sentendo di essere stato, per così tanto tempo, tradito dalla persona in cui aveva riposto la sua totale fiducia. ( E quando avrò paura… Anna Rita `Verardo , 2017)
Il trattamento E.M.D.R.
Il lavoro di rielaborazione dovrà tenere in considerazione che l’esperienza del suicidio favorisce la comparsa di emozioni disfunzionali che bloccano il processo del lutto : la colpa, la vergogna e la rabbia impediscono al sopravvissuto di affrontare il doloroso percorso conseguente la perdita con le emozioni ecologiche legate alla morte di qualcuno . Perdere qualcuno che amiamo ci costringe a rivedere i nostri legami e la vita intera e le persone provano intensi sentimenti di tristezza dolore e disperazione che sono però da considerarsi funzionali all’elaborazione adattiva e normale.
Considerando , inoltre, l’impatto neurobiologico del trauma risulta evidente la necessità di metodi terapeutici che possano essere efficaci nell’elaborazione dei traumi e nella riparazione. Negli ultimi anni molti studi si sono focalizzati sulla relazione tra trauma e ricordi e su come i ricordi traumatici possano essere immagazzinati nel cervello in maniera disfunzionale. Secondo il Modello di Elaborazione Adattiva delle Informazioni (AIP – Shapiro, 1995), in ogni individuo esiste una funzione neurobiologica innata che tende all’elaborazione dell’informazione, trasformando in maniera adattiva il materiale in entrata e integrandolo al resto delle reti neurali contenenti le informazioni di esperienze passate. Tuttavia, se un’esperienza (è il caso delle esperienze traumatiche come il suicidio ) non è adeguatamente elaborata, non viene consentito alle informazioni di connettersi con altre reti di memoria. Il ricordo traumatico rimane quindi isolato e non piu’ integrato, e, viene immagazzinato con le stesse componenti emotive, sensoriali, cognitive e fisiche provate al momento dell’esperienza e facilmente potrà essere riattivato da fattori scatenanti apparentemente neutri, e si esprima sotto forma di flashback, iperarousal, pensieri intrusivi e incubi che porteranno l’individuo a reagire con la stessa intensità emotiva sperimentata al momento del trauma. L’ EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) permette al paziente di accedere alle informazioni memorizzate in maniera disfunzionale, favorendo il naturale operare del sistema di elaborazione del cervello. Il protocollo, caratterizzato dalla stimolazione bilaterale dei movimenti oculari, è volto a ripristinare e costruire i collegamenti tra le reti della memoria favorendo l’integrazione tra informazioni non integrate e dissociate.
Per favorire l’elaborazione del lutto l’intervento avrà l’obiettivo di elaborare le emozioni che ne impediscono il naturale processo e consentirà al bambino di sviluppare un racconto coerente rispetto alla sua esperienza di perdita, poiché l’esperienza del suicidio ha di per se dei punti non integrati o delle lacune: proprio perché non è possibile elaborare qualcosa che non si è dichiarato, la sua esplicitazione in forma dichiarativa sarà una parte importante del lavoro terapeutico